La Psichedelia
L’espansione della coscienza
La psichedelia costituisce un fenomeno importante per il rock quanto la protesta pacifista del Greenwich Village o il Movement di Berkeley. Si puo’ dire che la droga abbia avuto nel rock degli anni ’60 lo stesso ruolo del sesso nel rock and roll degli anni ’50.
L’uso della droga come stimolazione della creativita` deriva dai poeti della Beat Generation, ma l’elevazione dell’allucinogeno a feticcio, oggetto di culto tramite rituali socio-religiosi, e` costume primitivo di popolazioni sparse su tutto il globo. In entrambe le accezioni, di mezzo o di fine, la droga ha la funzione di “cibo per la mente”.
L’espansione della coscienza e la conseguente liberazione dell’individuo a quei tempi venivano studiate scientificamente da santoni come Timothy Leary, che conducevano esperimenti sulla reazione della psiche alla somministrazione di stupefacenti.
L’LSD fu scoperto nel 1943 (dal chimico svizzero Albert Hofmann mentre studiava la causa del fenomeno comunemente noto come “ballo di San Vito”), ma solo negli anni ’60 le sue straordinarie proprieta` attirarono l’interesse di una equipe di scienziati dell’ Universita` di Harvard, composta da Timithy Leary, Richard Alpert, Ralph Metzner. In breve tempo le intuizioni dello scrittore Aldous Huxley si accoppiarono alla neuropsicologia e si origino` un movimento di sperimentatori psichedelici.
Alle persecuzioni delle autorita`, incattivite piu` dalla personalita` quasi sempre ribelle di coloro che facevano uso di queste sostanze che non dalla loro oggettiva dannosita`, si contrapponeva un movimento d’opinione in difesa delle droghe, i cui aderenti smentivano le assurdita` pubblicizzate dai mass-media sulle presunte orribili conseguenze dell’acido e facevano notare come alcool e nicotina, altrettanto pericolosi, non fossero proibiti.
L’uso della droga assumeva quindi anche i connotati di una provocazione, e come tale entrava a far parte di un ipotetico arsenale rivoluzionario, insieme con i capelli lunghi, l’oscenita` e i vestiti bizzarri.
Infine il ruolo culturale dell’acido era completato dal suo porsi come veicolo per la meditazione trascendentale, stabilendo cosi` il legame fra la civilta’ occidentale e le religioni orientali che tanta parte avrebbe avuto nello sviluppo delle arti moderne.
In pratica, l’effetto delle droghe consisteva nell’illuminare l’artista affinche’ la sua fantasia potesse creare piu` liberamente e fecondamente. La psichedelia puntava quindi verso un’arte piu` visionaria, di sensazioni piu` che di idee, che sovente esulava clamorosamente dai canoni secolari. La psichedelia si adattava bene anche alla regola underground per eccellenza, quella dell’arte come gioco, qualunque ne siano le cause e lo scopo; e finiva per valere anche da pretesto per la fusione delle arti, tanto predicata dallo stesso underground.
La musica psichedelica fin dagli albori, nel Greenwich Village con Andy Warhol o a La Honda con Ken Kesey, diede importanza alla coreografia, all’aspetto teatrale, o semplicemente spettacolare, dell’esibizione, fino ad adottare i light-show (le luci psichedeliche) che ne divennero un po’ il trade-mark.
Psichedelia beat, blues e astratta
Verso la meta` degli anni ’60 il rock divenne piu` cosciente del ruolo di primo piano che la droga stava avendo per la sua evoluzione, e quello che prima era stato un pretesto, una consuetudine, un semplice segno di riconoscimento, divenne un credo, un dogma, se non anche una moda. La parola “psychedelic” smise di costituire reato e divenne patrimonio di tutti i complessi (persino i Beatles!).
L’ingrediente psichedelico prese nettamente il sopravvento rispetto al blues e al folk che erano alla base del rock americano, e l’effettistica del caso si sbizzarri` senza limiti. Il folk-rock era appena finito. La psichedelia si incarico` di cambiare la faccia delle charts cosi` come il folk-rock aveva fatto con i gruppi vocali (surf o meno) l’anno prima.
In tal senso il rock psichedelico si colloco` piu` sul versante commerciale che su quello sperimentale, contrariamente alle sue premesse. In effetti gran parte dei suoi protagonisti non furono altro che continuatori della tradizione della novelty, che ammetteva per definizione soltanto “one-hit wonder”.
Il rock psichedelico siglo` un momento atipico della storia discografica, quando il successo di tanti complessi amatoriali (dai Beach Boys ai Jefferson) aveva convinto le case discografiche a stabilire un filo diretto fra garage e charts. Anzi, quanto piu` grezzo e approssimato il sound, tanto meglio. I talent scout si svizzarrirono alla ricerca di fenomeni sempre piu` eccentrici.
La stagione di questa liberta` creativa “guidata dall’alto” duro` pochissimo, giusto dal 1966 al 1967 (fino ai Doors). Subito dopo il dualismo “rock commerciale/ rock sperimentale” sarebbe tornato a separare nettamente i protagonisti delle charts da quelli dei sotterranei. discografica
Si ebbero almeno tre versioni di psichedelia (oltre a quelle dell’underground new-yorkese e a quella dell’acid-rock): la psichedelia beat, la psichedelia blues e la psichedelia rumoristica. Quest’ultima fu la piu` importante nell’ottica del progresso del rock lungo strade atonali e di fusione dei generi. La seconda, esaltando il ruolo delle improvvisazioni chitarristiche (soprattutto nella versione dura) apri` le porte all’heavy-metal.
Los Angeles
Lo psichedelic sound fu in gran parte un fenomeno californiano che, se limitato agli psichedelici puri, copri` un periodo di due-tre anni a partire dal 1966. Come tutte le cose californiane si divise in un fenomeno ironico, una sorta di beat stralunato fatto di canzoncine condite con effetti sonori (feedback, distorsioni, rumori), e in un fenomeno piu` serio che rifaceva da capo il rock, il blues, o il country, avvalendosi di lunghe improvvisazioni senza confini stilistici, con frequenti divagazioni elettroniche e un audace ridimensionamento del ruolo motore del ritmo.
. La sperimentazione si divideva a sua volta grosso modo in due tipi di approccio: quello morbido, che si esprimeva in un caos leggero ed esotico degli strumenti e delle voci, e quello duro, all’insegna di rock and roll martellante e amplificazione potente.
Lo stile elettrico del Dylan di Blonde On Blonde, le parti vocali dei Beach Boys, il jingle-jangle dei Byrds, le melodie naive dei Beatles, le dodici battute blues, fornirono l’ abbecedario dei baldanzosi dilettanti di quell’epoca a dilatazione illimitata di coscienza, che si gettarono a capofitto sui trucchi di registrazione, sulle tastiere e sulle trombe, in una frenetica gara a chi costruiva l’armonia piu` buffa.
L’epicentro del fenomeno fu Los Angeles, con il trio di ferro (anzi, di “metallo pesante”): Love, Seeds, Iron Butterfly.
Alla triade maggiore se ne puo` affiancare una minore, ma non meno devastante, di complessi “one-hit wonder”: Blue Cheer, Standells, Music Machine.
Questi complessi sono i profeti del raptus sonoro, del trip selvaggio e scatenato, del canto reboante e della chitarra aggressiva, del blues-rock urlato e fatto a brandelli.
Forse per reazione al suono morbido imperante, e` Los Angeles la prima capitale delle hard-vibrations. Il numero eccezionale di piccoli garage-group si spiega con le condizioni favorevoli della metropoli californiana: molti complessi sopravvissero grazie alle apparizioni nei film di Hollywood, grazie ai suoi meritori night-club e grazie ai party di Beverly Hills.
Col diffondersi della moda vennero alla ribalta i figli psichedelici del surf, i complessini che allietarono le torride estati in spiaggia con fiumi di noterelle carezzevoli, colorate dalla chitarra Vox, dal basso Fender e dall’organo Farfisa:96 Tears (1966) dei ? (Question Mark) And The Mysterians di Rudy Martinez, texani stabilitisi a Detroit), Follow Me di Lyme and Cybelle, e Get Off The Air degli Angry Samoans.
In margine al fenomeno si situarono complessi inclassificabili, depositari di strane misture stilistiche, accomunati dallo sballo quieto e orecchiabile, e da un debito naturale verso il folk-rock. La triade moderata e` forte di Electric Prunes, e Spirit, seguiti da ondate di complessi blues-psichedelici come Savage Resurrection (Mercury, 1968).
Texas
La psichedelia California fu la piu` nota e forse la piu` importante dal punto di vista sociale, ma la scuola psichedelica piu` innovativa fu in realta` quella delle umili garage-bands texane. In Texas la psichedelia lambi` la pura follia. I protagonisti furono Red Crayola e 13th Floor Elevator, ma alle loro spalle si mossero in decine: Kenny and the Kasuals, titolari di uno dei primi brani con fuzztone (Journey To Tyme, 1965) e di un Live At The Studio Club(Mark, 1967) in realta` inventato in studio, Mouse and the Traps (Public Execution, 1965), il Sir Douglas Quintet di Doug Sahm (She’s About A Mover, 1965), i Zakary Thaks (Face To Face, 1966, che usava il feedback), i Lost & Found, che pubblicarono l’album coraggioso Everybody’s Here (International Artists, 1967), i Circus Maximus (titolari di un album omonimo nel 1967 per la Vanguard che riecheggia Byrds e Who), i Fever Tree, titolari di un album arrangiato in maniera orchestrale, Fever Tree (Uni, 1968), sulla falsariga di Forever Changes dei Love.
Gli American Blues di Is Here (Karma, 1967), i Southwest FOB di Smell Of Incense (Hip, 1968) e i Moving Sidewalk del giovane Billy Gibbons (futuro ZZ Top), lanciati dal singolo 99th Floor (1967) e immortalati dall’album American Blues Is Here (Karma, 1968), suonavano un poderoso blues-rock a meta` strada fra Hendrix e Blue Cheer.
Il tex-mex da garage di Sam (Samudio) the Sahm & The Pharaos produsse Wooly Bully (1965), un eccitante classico da bettola, con conto alla rovescia in spagnolo e liriche vernacolari, boogie organistico e assolo di sassofono alla Curtis. Un exploit ripetuto da Lil’ Red Riding Hood (1966).
Estremi propaggini della scuola texana furono gli Shiva’s Headband di Take Me To The Mountain (Capitol, 1970), i Mariani di Perpetuum Mobile (Sonobeat, 1970 – Fanny, 1997), e soprattutto i Josefus di Dead Man(Hookah, 1970). A questo punto il rock psichedelico del Texas era gia` mutato in un hard-rock fantasioso, discendente dei Blue Cheer e dei primi Led Zeppelin.
Euphoria’s A Gift From Euphoria (Capitol, 1969), on the other hand, offered an odd combination of orchestral pop ballads, country-rock, distorted psychedelia and sound effects.
Il Texas e` un’eccezione, perche’ in generale il Sud, molto piu` conservatore della California, non diede respiro ai complessi punk. I Nightshadows, peraltro, fecero un album che si avvicina alla scuola selvaggiamente cacofonica del Texas: The Square Root Of Two (Spectrum, 1966), con la jam I Can’t Believe. Si possono citare ancora i i Gentrys (Memphis) di Keep On Dancing (1965), febbrile danza per party.
Il garage punk
La psichedelia rock tocco` l’apice nel periodo d’oro delle garage band.
La vera risposta americana all’invasione britannica (Beatles, Stones, Animals, Kinks) fu in realta` rappresentata da quella marea di complessini provinciali, formati da teen-ager che cercavano di farsi crescere i capelli a caschetto e di indossare vestiti alla Carnaby Street, e che volevano la loro parte di fama, denaro, divertimento e ragazze. Ironia della sorte, quei ragazzi suonavano per lo piu` classici blues ascoltati dai complessi inglesi, senza sapere molto degli autori originali (americani come loro, ma di pelle scura). I loro locali erano i garage, il loro pubblico i punk di strada, il loro atteggiamento ribelle e frustrato. L’America dei loro genitori era ancora molto conservatrice e non era disposta ad accettare ne` capelli lunghi, ne` vestiti a colori, ne` strumenti elettrici. Inoltre ogni scuola aveva le sue regole sul come vestire e pettinarsi, e i tentativi di sottrarsi alla norma erano severamente puniti. Da questa provincia reazionaria emersero i gruppi piu` “cattivi”, decisamente una spanna al di sopra del mordente e della tensione dei beat inglesi.
La vita discografica di questi complessi fu travagliata come poche nella storia del rock. Molti di loro incisero soltanto un 45 giri o due, e le formazioni erano talmente instabili che certi complessi, pur conservando lo stesso nome, non avevano nulla a che spartire con gli omonimi di sei mesi prima (gli Electric Prunes per esempio). Mancando ancora la critica, il movimento non era conscio di se stesso, ne` alcuno si preoccupo’ di registrarne gli eventi. Soltanto al principio degli anni ’70 gli storici del rock cominciarono a scavare fra le rovine di quella civilta` e a portare alla luce inestimabili tesori musicali. Dei tanti archeologhi punk, Lenny Kaye e Greg Shaw sono stati i piu` tenaci nel perlustrare soffitte, mercati delle pulci e negozi di antiquari. Fra la sorpresa generale molti dei brani piu` accattivanti dell’epoca erano stati registrati da bande di cui nessuno ricordava l’esistenza. La riscoperta di garage band del periodo e` tutt’ora in corso (per la delizia dei collezionisti), e non passa praticamente anno senza che una nuova stella risplenda nel firmamento dei punk. L’intera legione e` pero` limitata dall’estrema scarsita` di registrazioni (i brani di un gruppo si contano spesso sulle dita).
In effetti, emarginati da una societa` crudele, isolati e perseguitati, quei ragazzi anonimi della meta` degli anni ’60 meritano almeno lo stesso rispetto riconosciuto agli acclamati profeti della rivoluzione. La loro civilta’ fu forse piu` ingenua e naive, ma incredibilmente ricca di spunti originali e vitali. Non si puo` negare che il loro sound suona ancora fresco ed eccitante a vent’anni di distanza, mentre molti “classici” della rivoluzione giovanile puzzano gia` di reliquia storica.
Il 1966 fu l’anno d’oro del garage punk. Le stazioni radiofoniche trasmettevano tutti i 45 giri “strani” in circolazione, e le classifiche di vendita erano invase dai loro suoni bislacchi. Anche le case discografiche si lasciarono prendere la mano, e fu cosi` che decine di gruppi ottennero un contratto. Purtroppo l’infatuazione generale duro` soltanto pochi mesi. Alla fine di quell’estate la maggior parte dei gruppi si trovo` senza lavoro e gia` nell’oblio.
La nascente stampa rock (ovvero Crawdaddy e Rolling Stone) ignorarono il fenomeno, relegandolo in secondo piano rispetto al movimento hippie di San Francisco. Le stazioni di FM erano ancora troppo deboli, e quelle di AM, attaccate da queste, si limitavano a trasmettere i super-hit, cioe` i 45 giri delle grosse case discografiche. I punk, che si raccoglievano attorno alle prime “indies” (etichette indipendenti) non avevano speranze di sopravvivere.
La stazione KRLA, e la sua fanzine “The Beat”, fu l’unico salvagente per le garage band di Los Angeles. Stranamente la televisione concesse molto di piu` della radio: le trasmissioni di Dick Clark (non tanto “American Bandstand” quanto “Where the Action Is”) promossero decine di complessini e furono la sorgente principale di musica britannica.
Per dare un’idea di quanto siano precarie le informazioni sul fenomeno, si pensi che i collezionisti e gli studiosi conducono una caccia assidua alle colonne sonore dei film del filone “giovanile”, perche’ molte di queste band, non trovando nulla di meglio, accettavano volentieri di suonare nelle scene dei party.
Pacific punk
Dal punto di vista storico non ci sono dubbi che i punk dei ’60 spuntarono sulle rovine del rock’n’roll dei ’50, e che quelle rovine erano rappresentate da complessini, per lo piu` strumentali, dal suono rozzo e naive.
Per motivi ancora ignoti i primissimi gruppi punk emersero dalla costa pacifica. Nel momento in cui la “british invasion” spazzo` la nazione, vennero tutti a galla.
A Seattle i migliori furono i viziosi Sonics. Nella vicina Takoma scorrazzarono i Wailers, i piu` vicini al modello dei Ventures. Portland, Oregon, ha invece il vanto di aver allevato il suono piu` grezzo ed epidermico. In particolare i Kingsmen diedero la piu` fenomenale versione di Louie Louie (1964) di sempre, talmente provocante da essere oggetto persino di un’indagine dell’FBI. Il loro repertorio verra` riassunto su The Best Of (Rhino, 1991).
Paul Revere and the Raiders
. Da San Jose (in fondo alla Baia) giunsero alcuni dei migliori: i Count Five, i Chocolate Watchband, gli E-Types, e i Syndicate of Sound, che portarono in cima alle classifiche del 1966 la sarcastica Little Girl.
Piu’ a Sud, nella zona di Los Angeles, fecero furore gli Strawberry Alarm Clock e i Monacles, che nel 1966 incisero I Can’t Win e Heartaches For Me , il cui materiale e` raccolto su The Monacles (Arcania, 2002),
Chicago
L’aspetto piu` incredibile della civilta` delle garage-band e` che si diffuse a macchia d’olio in tutta la nazione piu` di qualunque altro fenomeno musicale, e nonostante l’indifferenza dei media e l’ostracismo dei perbenisti. Garage-band se ne trovano in pratica ovunque ci fosse un garage!
Gli Shadows of the Knight e i McCoys di Rick Derringer sfoderarono forse lo stile piu` ruvido.
Fra i primi cultori della suite acid-rock si contano gli H.P. Lovecraft.
In zona c’erano anche complessi proto-heavy come gli Amboy Dukes di Detroit.
A Minneapolis prese piede una delle scuole piu` fertili. Ad aprire la strada erano stati nel 1964 i Trashmen. Qualche anno dopo emersero i Litter. Blue Sandlewood Soap suonavano un acid-rock caotico e demenziale sulla falsariga dei Red Crayola, ma guidato dall’organo Farfisa, come documentato da Loring Park Love Ins (Dionysus, 2001).
Isolati in Kansas scorazzarono i Morning Dew, titolari di un album, Morning Dew (Roulette, 1967), che rimane uno dei classici del punk-rock di tutti i tempi (Crusader’s Smile, Cherry Street).
East Coast
Nelle grandi citta` dell’Est il fenomeno fu meno pronunciato sia per effetto del rigido controllo esercitato dalle case discografiche sia per la mancanza di quegli stimoli “rozzi” tipici della vita di Provincia e di Frontiera.
A New York si distinsero gli Strangeloves; i Left Banke; i Godz; i Cromagnon; i Blue Magoos; e due complessi piu` esotici, i Mystic Tide e i Devil’s Anvil. Gandalf (1967 – Sundazed, 2002) fu un gruppo del New Jersey capitanato da Peter Sando, che eseguiva ballate surreali coperte di effetti sonori (Can You Travel In The Dark Alone, Golden Earrings, I Watch The Moon)
Nel periodo classico Boston ebbe i Remains titolari dei singoli Why Do I Cry (marzo 1965) e Don’t Look Back (1966), e di un unico album ominomo (Epic, 1966), poi incluso su Barry & The Remains (Epic, 1991), i Lost del cantante Willie “Loco” Alexander (che risorgera` negli anni della new wave) e del chitarrista Ted Myers (autore del loro materiale, in particolare Violet Gown), i Rockin Ramrods (Bright Lit Blue Skins). Nel 1968 ci fu un ritorno di psichedelia, il cosiddetto “Bosstown Sound”, che ebbe per protagonisti gli Ultimate Spinach e gli The Beacon Street Union.
Millennium, titolari di Begin, e Ballroom, titolari di Ballroom, erano i gruppi del produttore Curt Boettcher, piccolo genio del pop psichedelico. Magic Time: The Millenium / Ballroom Recordings (Sundazed, 2001) raccoglie tutto cio` che i suoi gruppi (anche Sagittarius e Summer’s Children) registrarono nella stagione psichedelica del 1965-1968.
Erano tutti complessi di teen-ager che si erano messi a suonare piu` che altro per il gusto di farlo, senza la pretesa di creare un movimento o una scuola. E` soprattutto questo approccio (totale mancanza di ideologia) che li distingue dagli psichedelici “colti”, cioe` dai Jefferson Airplane, Grateful Dead, Velvet Underground, Doors.
La gloriosa civilta` psichedelica, Atlantide dei garage, venne spazzata via dall’avvento di generi “progressivi” piu` razionali, e poi dal riflusso. Soltanto negli anni ’80 i complessi del dopo-punk avrebbero osato frugare nelle rovine.
In Europa si segnalano gli olandesi Group 1850, titolari del concept Agemo’s Trip To Mother Earth (1968) e di Paradise Now (1969 – Free, 2002), con un sound hard psichedelico nella scia dei Blue Cheer.
In Canada esercitarono alcuni dei gruppi piu` geniali e iconoclasti. L’ensemble esteso dei Les Maledictuis Sound pubblicarono un album nel 1968 che e` una delle opere piu` psichedeliche dell’intera musica psichedelica (Inside My Brain, Concerto Genocide, Monster Cocktail).
In Australia la scena venne completamente rivoluzionata dai Missing Links, uno dei piu` grandi complessi del garage-punk mondiale.