Il blues revival
Il popolo dei pub
Il fenomeno beat era stato in realta` il prodotto consumistico di una cultura musicale che si rifaceva soprattutto al blues.
L’invasione della musica americana nell’immediato Dopoguerra, durante il periodo di fanatismo per tutto cio` che era a stelle e strisce, creo` in Inghilterra delle colonie di discepoli; e non solo nel campo del boogie-woogie, del rock and roll, e dello skiffle, ma anche del jazz e del blues.
Alla fine degli anni ’50 in tutte le maggiori citta` esistevano gia’ diversi club in cui si radunavano i musicisti jazz e blues. Si trattava di un giro musicale molto lontano dal mercato discografico, relegato a un pubblico amatoriale che la sera voleva eccitarsi con buone vibrazioni in locali fumosi e rumorosi, i tipici “pub” inglesi.
Il blues inglese era una miscela di jazz orchestrale e di rhythm and blues. L’orchestra jazz di Chris Barber ne fu la prima insigne rappresentante. Del blues del Delta non rimaneva nulla, ne` i testi realistici ne` la sofferta semplicita’. Gli inglesi conservavano soltanto il ritmo, arricchendolo con una strumentazione che comprendeva batteria e magari sassofono, e in seguito decisamente elettrificata, e interpretandolo come lunga festa collettiva invece che come veemente esplosione di dolore.
Lo spirito stesso d’altronde era diverso: al cantante- chitarrista- armonicista nero che portava la sua musica di paese in paese si sostituiva il gruppo di studenti o disoccupati o musicisti di passione (che erano poi la stessa cosa) in cerca di un momento di svago e creativita` una volta la settimana in un sottoscala del quartiere.
I club di Londra si riempirono di gente simile. Il revival della tradizione non era affatto il loro scopo, ma piuttosto il mezzo per sopravvivere artisticamente; non certo economicamente, visto che il mercato, esaurita la vampata del rock and roll, era stato di nuovo monopolizzato dai cantanti leggeri.
Il movimento rhythm and blues
Alexis Korner, Cyril Davies e John Mayall furono i protagonisti del blues revival di Londra.
Presto i Rolling Stones, figli di Korner, entrarono nelle classifiche di vendita, riuscendo persino a contrastare il Mersey beat, e la Blues Incorporated divenne un’attrazione fissa alla Roundhouse. Il blues si sparse allora ai quattro venti, e locali di adepti sorsero un po’ in tutto il paese, mentre i complessi si moltiplicavano e introducevano nuove tecniche e nuove fonti d’ispirazione.
Tutto il rock inglese passo` per i club di rhythm and blues: il Marquee di Londra, il Kloos Kleek di Manchester, il Crawdaddy di Richmond, per citare i piu` famosi. In questi posti la diversificazione dei generi era notevole. Si passava con disinvoltura dal jazz di Bond all’ortodossia chicagoana di Davies e al soul-ska di George Fame (Yeh Yeh, 1965, Get Away, 1966, e il ragtime di Bonnie And Clyde, 1968).
Ogni complesso aveva un repertorio piuttosto caotico, capace di spaziare dal blues al country, dal rock and roll allo swing. Il fenomeno si svolse dall’inizio alla fine all’insegna della piu` pura improvvisazione, conservando sempre il suo carattere amatoriale. Il caos che ne consegui`, nella formazione e nello stile, e` il segno piu` evidente del fervore creativo di quella stagione. Da tanta ricchezza di idee e di esperienze presero l’abbrivo i generi del dopo-beat inglese. In pratica sotto il termine blues revival si fini` per catalogare tutta la buona musica che non trovava spazio nella Swinging London protesa verso il fatuo e scipito Mersey sound.
Fra i grandi cultori del blues elettrico vanno citati complessi beat come i Them, gli Animals, gli Yardbirds e, per l’appunto, i Rolling Stones. Ma lo spirito era assai diverso. Mentre i beat stravolgevano il messaggio e alteravano il sound per renderlo piu` melodico e ballabile, i revivalisti ne accettavano le asprezze, il canto gracchiante, lo schitarrare sguaiato, l’intero apparato perfezionato in tre secoli di storia dai neri americani per convogliare l’umore malinconico, depresso, annoiato del blues. Laddove i beat avevano accelerato i ritmi per far ballare, e piallato il vocalismo per commuovere, i revivalisti indulgevano cinicamente nelle strutture piu` antiquate per resuscitare quello spleen esistenziale.
Pop-blues fusion
Soltanto nel 1965 il rhythm and blues dilettantistico di retrobottega si trasformo` in un blues professionistico da sala d’incisione. Fu allora che il blues elettrico di Chicago prese il sopravvento su ogni altro stile, fu allora che emerse con prepotenza la figura del chitarrista e che i brani si allungarono a causa degli iperbolici assoli.
L’emotivita` primitiva delle dodici stentoree battute, dei riff sincopati, del canto roco e agonizzante, rese persino vendibili gli album dei gruppi blues, anche se nessuno di loro ebbe mai dei veri hit.
John Mayall fu il padrino di questo periodo. Ma i chitarristi furono i grandi protagonisti dell’epoca: Peter Green dei Fleetwood Mac, Kim Simmonds dei Savoy Brown, Alvin Lee dei Ten Years After Stan Webb dei Chicken Shack, ed Eric Clapton dei Cream.
Ma al cast delle stelle bisogna aggiungere il fitto sottobosco dei gregari: Zoot Money, il batterista Ainsley Dunbar della Retailation; il cantante Chris Farlowe, il tastierista Dave Greenslade e il grande chitarrista Albert Lee dei Thunderbirds (Buzz The Fuzz, 1965); la cantante e pianista Christine Perfect dei Chicken Shack; il chitarrista Tony McPhee dei Groundhogs; e, piu` vicini alla tradizione, lo “one-man-band” Dustin Bennett e la cantante Jo-Ann Kelly.
Verso il 1969 il blues revival, ormai masticato e digerito dal rock inglese, attraverso` una dura crisi. Alcuni gruppi (la maggioranza) si sbilanciarono verso l’hard-rock: i Foghat, fuoriusciti dai Savoy Brown, i Killing Floor, gli stessi Fleetwood Mac, i complessi da pub come i Love Sculpture di Dave Edmunds, e i Chilli Willi di Martin Stone. Altri si avvicinarono al jazz e alle suite strumentali: i varii combo dell’organista Brian Auger, i Colosseum, i Mark-Almond.
La Climax Blues Band del sassofonista Colin Cooper, fu titolare di un omonimo debut album (1969) all’insegna del blues piu` ortodosso ma di un secondo Plays On (1970) sbilanciato verso il jazz. Poi anche loro, come i Savoy Brown, si sarebbero trasformati in gruppo hard-rock da classifica.
Gli Atomic Rooster, guidati dalle tastiere jazzate di Vincent Crane e con il giovane Carl Palmer alla batteria (entrambi reduci dal Crazy World di Arthur Brown), fecero sensazione con Devil’s Answer (1971), anche se daranno il loro capolavoro con un album di dark-rock, Death Walks Behind You (B&C, 1970).
I Free furono il complesso piu` hard-rock del blues revival.
I Medicine Head scalarono le classifiche negli anni ’70 con Pictures In The Sky, One & One Is One, Rising Sun, Slip and Slide.
Uno dei maggiori contributi del blues-rock inglese, in particolare grazie ai Cream, e` l’aver inventato la struttura classica del “power-trio”: chitarra, basso, batteria. Esempio canonico di abuso di questo schema sara` Rory Gallagher, perpetuamente alla ricerca della sezione ritmica giusta per i suoi virtuosismi chitarristici.
Il Blues inglese resuscitera` quando (con il punk) torneranno a galla i complessi da pub: la Blues Band di Paul Jones (Ex Manfred Mann) e Dave Kelly (chitarrista slide) tornera` proprio alle origini del Blues Revival inglese.
Esperienza estremamente formativa per un’intera generazione di musicisti inglesi, il blues revival non fu in se` un fenomeno artisticamente rilevante. I capolavori del movimento li ottennero coloro che se ne allontanarono radicalmente, andando a disegnare un sound composito e ricco di umori che con il blues non ha alcun rapporto di parentela. Gli altri produssero molta musica, in gran parte mediocre, godettero di un breve periodo di immensa popolarita` e scomparvero agli albori della nuova civilta` musicale