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22 Giugno 2021

Blues-rock

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Il blues bianco

Il blues e` piu` di ogni altra la componente fondamentale del rock.

Il rock and roll nacque dalle ceneri del blues e da allora il rock ha continuamente agito in qualche modo sulla struttura del blues ritmico. Se poi si pensa che il blues e` anche l’essenza del jazz, si comprende l’importanza di questo genere tanto semplice (le solite dodici battute, una voce e una chitarra) e tanto bistrattato, musica per i neri poveri, a lungo considerara indegna di essere tramandata su disco.

Il piu` evidente segno di parentela sta nel concetto di musica emotiva che permea entrambi i generi: tutto puo` essere sacrificato, immolato, dalla melodia all’ armonia, purche’ alla fine si riesca a restituire un’emozione, uno stato d’animo, un sentimento.

Una linea di blues corre parallela alla linea principale del rock. Le due linee in realta` si intrecciano sovente, sicche’ e` difficile isolare la corrente blues-rock nel mezzo della marea rock. Si tratta comunque di un blues bianco, perche’ quello nero e` ormai morto o sopravvive in pallidi epigoni degli eroi del Delta.

Nel Dopoguerra il numero crescente di cover di classici neri aveva stabilito un andazzo normale, ancora in vigore agli inizi degli anni ’60: il cantante bianco, a qualsiasi livello (anche i Beatles) aveva in repertorio una manciata di proprie canzoni e decine di versioni o arrangiamenti di brani blues. Il rock da un lato aboli` questa consuetudine, ampliando la creativita` del musicista, mentre dall’altro affronto` con coraggio e riconoscenza l’impresa sempre rimandata di rendere omaggio a questo genere cosi` meritevole.

Il revival dei primi anni ’60 fu un fenomeno comune sia all’Inghilterra sia agli Stati Uniti. Ma mentre oltre-oceano si formava una vera e propria scuola di rhythm and blues bianco, in patria il fenomeno era limitato a singoli cantanti o complessi (bianchi), per lo piu` cresciuti nelle zone storiche della civilta` afro-americana, i quali di propria iniziativa decidevano di avvicinarsi al repertorio blues.

Il successo del revival fu dovuto in gran parte al periodo in cui avvenne e al pubblico di allora, costituito da una generazione di giovani che si sentivano sfruttati ed emarginati come i neri all’inizio del secolo, e che condividevano percio` il sentimento di afflizione del blues. Il blues ritmico era poi facilmente commercializzabile, e il beat ne fu una lampante dimostrazione: fu proprio il beat bluesistico di Londra a diffondere il primo amore per i vecchi bluesman dimenticati, perche’ era il blues cio` che differenziava le canzoni beat dalla musica leggera convenzionale.

Negli States l’approccio fu meno commerciale, ma talvolta troppo archeologico. Al Greenwich Village esercitarono diversi onesti epigoni, come John Hammond Jr, che riproposero fedelmente i classici del genere.

Nei casi migliori il blues fu il veicolo ideale per sfogare un disperato malessere esistenziale, oppure un sapore con cui condire una musica molto semplice e naive, oppure ancora l’occasione per orge strumentali, completamente fuori del blues canonico ma coerenti con il principio di musica emotiva.

Da questa terza accezione del blues ebbero origine le prime jam session del rock, lunghi brani d’improvvisazione libera collettiva. A partire dalla storica Grape Jam (1967) dei Moby Grape di Skip Spence.

Gli epicentri del fenomeno furono le capitali storiche del blues: il Delta, Chicago, il Texas, le grandi metropoli dove i neri industriali avevano fondato (o erano stati rinchiusi in) enormi colonie: New York, Los Angeles, le citta` della Costa Orientale in genere, da Boston a Philadelphia; e per ultima San Francisco, grazie all’immigrazione musicale del 1966. Il blues-rock non fu certamente una moda: attecchi` un po’ ovunque e supero` le barriere di tempo che bloccarono quasi tutti gli altri fenomeni musicali del rock.

Chicago

Il fatto che a Chicago i neri accettassero di collaborare con i bianchi che volevano imparare il loro mestiere fu determinante. Fra i primi a beneficiare del clima di promiscuita` fu Paul Butterfield, l’uomo che di fatto dette il via al revival. Dalla sua scuola sarebbero scaturiti diversi altri combo, e in essi si rivelarono i talenti maggiori, Mike Bloomfield su tutti.

La citta` era anche battuta da Charlie Musselwhite, uno dei bluesman bianchi originari del Sud protetti da Muddy Waters. La sua armonica allieto` i dischi di Howlin’ Wolf, Muddy Waters, Little Walter, John Lee Hooker, etc. Dal 1966 incise anche diversi dischi in proprio, segnalandosi per una versione di Christo Redemptor (1968).

Piu’ fantasiosa fu la (Corky) Siegel- (Jim) Schwall Band.

Dal Wisconsin proviene Tracy Nelson.

Nel vicino Indiana opero` la leggendaria chitarra blues di Lonnie Mack.

New York e Boston

Il primo blues bianco deve molto ai session-man, provetti suonatori e in molti casi piu` spontanei dei calligrafici maestri.

Il boogie delle bar-band di Boston e` rappresentato al suo livello piu` creativo dalla J. Geils Band, che unge da tramite verso il sound piu` barocco delle bar-band degli anni ’80, come George Thorogood.

il canadese Jeff Healey,

A New York esercita la jump-blues per eccellenza, Roomfull Of Mirrors, formata nel 1967 dal chitarrista Duke Robillard.

New York fu teatro anche di esperimenti post-psichedelici sul blues, come quelli della Heavy Balloon Band su 32,000 Pounds 16 Ton (Elephant V, 1969) e quelli degli Insect Trust su Insect Trust (Capitol, 1968).

Texas

I texani erano in realta` molto piu` numerosi, ma quasi tutti i migliori erano emigrati nella Baia: Janis Joplin, Tracy Nelson, Steve Miller, eccetera. Johnny Winter fu la star degli anni ’70. Il gruppo che guidera` il blues revival degli ’80 sara` anche texano: i Fabolous Thunderbirds.

L’ultimo esponente della grande tradizione chitarristica texana (quella di T. Bone Walker, Albert King, Albert Collins) e` Stevie Ray Vaughan,

California

A Los Angeles, dalla scena che Butterfield aveva risvegliato dai torpori folk, emersero prepotentemente nel 1967 i Canned Heat.

Nonostante questi inizi cosi` pedanti ed archeologici, la scena blues di Los Angeles fu sempre un po’ atipica. I protagonisti assoluti furono apolidi eclettici musicologhi come Tay Mahal, Rylan Cooder, e Roy Buchanan, che del blues presero piu` che altro lo spirito.

Negli anni ’70 l’allontanamento dal blues canonico e` ancor piu` evidente. Il blues assume il sapore nostalgico della musica da retrobottega, quella messa su per scherzo durante una festa fra amici, come ai tempi in cui il rock non esisteva ancora e per avere un po’ di buone vibrazioni bisognava procurarsele saccheggiando la tradizione e arricchendola con la gioia e la fantasia di liceali squattrinati.

Nella Baia di San Francisco si stabiliscono molti dei bluesman texani: Janis Joplin, Steve Miller.

Fra gli indigeni della Baia si contano i due complessi scaturiti dai Jefferson Airplane: i Moby Grape e e gli Hot Tuna.

Alla fine dell’epopea hippie la Baia diventa teatro di una rapida diffusione della musica tradizionale. Se i piu` originali sono i Creedence Clearwater Revival e i Flamin’ Groovies, sono anche diversi gli speculatori commerciali, che annacquano il blues-rock con fiati soul, riff da heavy-metal e ritmi da discoteca. La decadenza di Frisco portera` al sound molle e lucido dei ’70: i Doobie Brothers, una istituzione del “blue-collar rock”, il disco-kitsch di Steve Miller, il blues-rock sudista di Elvin Bishop, il gruppo multi-razziale dei Tower of Power con una sezione di cinque fiati (You’re Still A Young Man, 1972), l’hard-rock organistico di Lee Michaels (Do You Know What I Mean, 1971), le malinconiche ballate sinfoniche e funky-soul di Bob Scaggs.

Pop-jazz

Nel periodo di massima popolarita` del jazz-rock di Miles Davis gruppi di matrice blues, come i Blood Sweat and Tears e i Chicago, tentarono un’ambigua avventura pop-jazz, che sostanzialmente consistette nell’adeguare le soluzioni blues-rock alla struttura da big-band anni ’30.

Il genere si puo` piu` precisamente distinguere in due filoni: lo stile horn-band (Blood Sweat and Tears, Electric Flag) e lo stile brass-band. del secondo i Buckinghams (King Of A Drag, 1967) e i Chicago, entrambi del produttore James Guercio. Fra i talenti in erba c’era anche il violinista jazz Jerry Goodman, leader dei Flock.

Le grandi invenzioni degli anni ’70 saranno il latin-jazz-rock di Carlos Santana e il soft-jazz-soul degli Steely Dan.

Soul-rock

Fenomeno parallelo al blues-rock fu quello del soul bianco (il “blue eyed soul”) che ebbe i suoi antesignani in Dion e Gary Bonds e che conobbe il suo periodo di massimo fulgore intorno al 1964-65, ma si protrasse anch’ esso fino agli anni ’70.

Le star del genere furono i Righteous Brothers di You’ve Lost That Love Feeling (1964) e Soul And Inspiration (1966), con liriche paranoiche di Mann & Weil e “wall of sound” di Spector. Il piu` carismatico fu invece il teppista shouter di Detroit Mitch Ryder, grezzo, rauco e selvaggio, famoso per i travolgenti medley di standard neri (tipo Jenny Take A Ride, 1965, su tema di Little Richard, o Devil With A Blue Dress On, 1966). I piu` sofisticati furono peraltro i Rascals di Felix Cavaliere, che ebbero tre dischi d’oro con Good Lovin’ (1966), Groovin’ (1967), People Got To Be Free (1968). Molti furono i complessi che adottarono un soul compromesso con il beat, il folk-rock e la psichedelia da spiaggia, coniando una nuova forma di canzone “ribelle”: gli Outsiders di Time Won’t Let Me (1966) e soprattutto i Box Tops del sedicenne Alex Chilton, il Winwood del soul bianco americano. Chilton era unico perche’ dava piu` importanza all’atmosfera che all’ emotivita’. I suoi hit erano piccoli poemi drammatici: The Letter (1967) e` narrato con tono monotono e “vissuto” mentre l’orchestra sottolinea il clima tragico.

Il soul entro` a far parte stabilmente del linguaggio rock, e almeno due grandi complessi ne fecero anzi l’ingrediente principale del loro sound: i Little Feat di Lowell George e la Band di Robbie Robertson.

Una figura determinante per lo svolgimento del soul bianco fu Leon Russell, dal cui entourage uscirono l’inglese Joe Cocker, Gary Lewis (il piu` venduto del lotto: This Diamond Ring, 1964), Delaney & Bonnie Bramlett (gospel- country), Rita Coolidge (Higher And Higher, 1977), e J.J. Cale.

Indipendenti come Todd Rundgren e soprattutto Hall & Oates sono gli estremi rappresentanti di questa corrente, del tutto alieni dal cameratismo degli altri.

Il blue-eyed soul sudista dei ’70 e` un genere molto compromesso con il country di Nashville che annoverava illustri esponenti gia` negli anni ’60: John Fred (il rhythm and blues fiatistico di Judy In Disguise, 1967) i CC Riders di Wayne Cochran, e Edgar Winter, tastierista e sassofonista jazz-rock, che, dopo essersi dedicato per anni a un soul jazzato e fiatistico, ottenne il successo con l’heavy blues-rock di Frankenstein (1973). Il maggior successo arridera` a Dobie Gray grazie alla sua Drift Away (1973).

Affine a loro e` Joe South, musicista di Atlanta.

Nostalgia rock

Un fenomeno importante, all’epoca trascurato, fu quello del “nostalgia rock”, ovvero della riproposta dei classici del passato da parte di specialisti archeologhi. Il revival travolse la nazione quando il musical “Grease” (che rievocava gli anni ’50) batte` il record di longevita` a Broadway con ben 3388 serate (dal 12 Febbraio 1972 al 13 Aprile 1980).

La moda si era diffusa nei club di Manhattan nei primi ’70 e inizialmente aveva avuto connotati puramente di speculazione. Gli Sha Na Na la mettevano anzi piu` sulla parodia (la trasmissione “Happy days” nacque praticamente dalle loro sceneggiate). I Manhattan Transfer rispolveravano tutti i gruppi vocali degli ultimi quarant’anni, dal doo-wop al bebop (Chanson D’Amour, 1975), imitati dai meno originali Rubettes (Sugar Baby Love, 1974). I Persuasions rispolverarono la tradizione del canto a cappella, adattandola al soul e al pop (Lookin’ For An Echo, 1977). Bette Midler fu la piu` riverita, regina dei cabaret e del music-hall (Boogie Woogie Bugle Boy, 1973; e la solenne ode di The Rose, 1980). Leon Redbone fu il piu` fantasioso restauratore degli standard di blues e jazz degli anni ’30 e ’40. I Colorblind James Experience rinnovarono la tradizione degli eruditi di jug, jazz, country, rhythm and blues e armonie da “barbiere” (ottenendo anche un hit, Considering A Move To Memphis, 1988).

I piu` professionali furono pero` i New Rhythm And Blues Quartet (con Terry Adams alle tastiere e Tom Ardolino alla batteria), titolari di una forma eclettiva, anarchoide e irriverente di revival, e riconosciute autorita` nel campo del rock, del jazz e del country. Fra i loro adattamenti si contano due celebri colonne sonore (Bonanza, 1974; e North To Alaska, 1976) in versione free-jazz.

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HOUSEATECH // HOUSEATECH - SAME (THE COLLECTION)
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